cambia grandezza del testo A A A

DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE: la richiesta fatta dal Parlamento Europeo

Non si può e non si deve lavorare in modalità “sempre online”, come accade con il telelavoro e in pandemia. La prossima settimana il Parlamento europeo chiederà una legge che garantisca il diritto alla disconnessione


Le nuove tecnologie e l’uso degli strumenti digitali offrono nuove opportunità al mondo del lavoro. E la pandemia ha accentuato il passaggio al lavoro a distanza e allo smartworking. Ma questo lavoro, così come è organizzato, rischia di non conoscere limiti. Il lavoratore digitale lavora sempre, è sempre di guardia. Lavora anche nel tempo libero. Sfumano i confini fra lavoro e vita privata. Per questo serve una direttiva europea sul diritto alla disconnessione, tema che il Parlamento europeo affronterà la prossima settimana.


Parlamento europeo: il diritto alla disconnessione è un diritto fondamentale. Il Parlamento chiederà dunque una legge europea che garantisca il diritto alla disconnessione digitale e il rispetto degli orari di lavoro.


Di cosa stiamo parlando? Il diritto alla disconnessione è «un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale», evidenzia il Parlamento europeo nel progetto di relazione sul diritto alla disconnessione.


Nel documento il Parlamento sottolinea che «l’essere costantemente connessi, insieme alle forti sollecitazioni sul lavoro e alla crescente aspettativa che i lavoratori siano raggiungibili in qualsiasi momento, può influire negativamente sui diritti fondamentali dei lavoratori, sull’equilibrio tra la loro vita professionale e la loro vita privata, nonché sulla loro salute fisica e mentale e sul loro benessere»


Il diritto alla disconnessione: di cosa si tratta


Attualmente in Europa non c’è un diritto alla disconnessione. I deputati chiedono di considerarlo un diritto fondamentale e chiedono la garanzia di protezione dalla vittimizzazione del lavoratore e da altre ripercussioni negative che potrebbero colpire chi esercita questo diritto.


Ai lavoratori va dunque garantita una certa autonomia, flessibilità e il rispetto della “sovranità sul tempo” per organizzare l’orario di lavoro in base anche alle attività di assistenza familiare. E tutto questo senza portare a discriminazioni lavorative.


Sempre connessi fa male


L’uso della tecnologia e la modalità del “sempre connessi” ha esteso l’orario di lavoro e ha reso fluidi i confini fra orario di lavoro e tempo libero. Talmente fluidi che spesso questo confine di fatto viene meno.


Non si riesce più a disconnettersi dal lavoro e questo nel tempo porta a problemi fisici e mentali, compresi ansia, stress, depressione, ripercussioni negative sull’equilibrio fra vita privata e lavoro.


Nel progetto di relazione sul diritto alla disconnessione si riconosce dunque che attualmente nell’Unione europea non c’è una normativa specifica sul diritto alla disconnessione. La digitalizzazione ha certamente portato vantaggi ma anche una «intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo così meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata».


Un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del “sempre connesso”, “sempre online” o “costantemente di guardia” che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell’orario di lavoro e l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne, dato l’impatto sproporzionato di tali strumenti sui lavoratori con responsabilità di assistenza, che generalmente sono donne».


L’uso eccessivo dei dispositivi tecnologici, riconosce la relazione, può aggravare fenomeni quali l’isolamento, la dipendenza dalle tecnologie, la privazione del sonno, l’esaurimento emotivo, l’ansia e il burnout.


La pandemia e il diritto alla disconnessione: chi è in telelavoro lavora di più


Tutto questo va poi inserito nel contesto delle misure prese durante la pandemia da Covid-19 e il lockdown, che hanno aumentato il ricorso al telelavoro. Secondo dati Eurofound citati nella relazione, durante il confinamento oltre un terzo dei lavoratori europei ha iniziato a lavorare da casa (prima lo faceva il 5%).


Il 27% degli intervistati in telelavoro ha dichiarato di aver lavorato nel proprio tempo libero per soddisfare le esigenze di lavoro.


Il lavoro a distanza è già aumentato con la pandemia e nel futuro rimarrà a livello più alto rispetto al passato o aumenterà ancora.


Chi è in smartworking lavora insomma di più. Le persone che abitualmente lavorano da casa «hanno più del doppio delle probabilità di lavorare oltre le 48 ore settimanali massime previste e di riposare meno delle 11 ore previste fra un giorno lavorativo e l’altro, come sancito dal diritto dell’Unione» rispetto a chi sta in sede.


Quasi il 30% di chi è in telelavoro dichiara di lavorare nel tempo libero tutti o giorni o più volte a settimana (gli altri sono solo il 5%). E chi è in smartworking ha più probabilità di avere orari irregolari. Sono tutte realtà che richiedono il diritto alla disconnessione (Sabrina Bergamini)

________________________________


* Guarda il VIDEO. Diritto alla DISCONNESSIONE

________________________________